Ricomincia la scuola
Le sensazioni che si accavallano al rientro settembrino nei banchi di scuola hanno a che fare con ricordi nostalgici, ansie, timidezze, entusiasmi e tutta quella congerie di emozioni che si manifestano in prossimità dei grandi eventi.
Sì, tornare a scuola è un grande evento, la vita scorre nelle vene giovani e la voglia di esplorare è massima.
Il 14 settembre sovente era la data dell’incipit scolastico, me la ricordo bene poiché coincide con la data del mio compleanno, nonostante ciò ho sempre percepito l’importanza intima di quella giornata gloriosa e iniziatica, come quando si intraprendono avventure nuove.
Ma quest’anno si aggiungono due stati d’animo: la paura e l’incertezza.
La paura ovviamente relativa allo stato di all’erta che si crea di fronte al rischio della patologia è fisiologico, laddove uno stato di consapevolezza ci richiede attenzione e monitoraggio, non angoscia ma vigilanza.
La paura è sempre un segnale di pericolo.
L’incertezza invece è relativa ai protocolli che si costruiscono a livello sanitario/istituzionale per creare un ambiente tutelativo verso i piccoli studenti: si tratta di protocolli che destano stupore poiché incongrui con il concentrato di assembramenti e noncuranze varie cui abbiamo assistito negli ultimi mesi; e ne siamo tutti consapevoli. E sovente perdono di quel senso logico (buon senso) che ci disorienta di fronte all’evidenza.
Ora sembra che per uno starnuto si possano creare problematiche organizzative abnormi.
Mentre fino a ieri orge di individui si sono affastellate tra parchi acquatici e ritrovi sub-culturali, spuntandosi addosso parole vuote e salive potenzialmente inquinate.
Nessuno ovviamente mette in dubbio l’importanza di un’azione tutelativa e preventiva soprattutto verso gli indifesi (i bambini), ma l’eccesso di zelo ci sembra non coincidente con la realtà clinica attuale; virologi spesso “estremisti” affermano senza ombra dubbio l’importanza ferrea di proteggere prima d’ogni cosa la necessità di socializzazione dei bimbi che è la piattaforma della formazione umana.
In sintesi mi sorge il dubbio che il luogo dei bambini, la culla della civiltà umana, come sempre possa facilmente essere oggetto di sperimentazioni di massa, che siano sanitarie o sociologiche o altro. Insomma alla fin fine sacrificabile: tanto i bambini non si lamentano ma comunicano con una sintomatologia che produrrà i suoi frutti marci nel tempo; e i genitori si tutelano come possono ma sono costretti a subire imposizioni forzate.
Qualcuno dall’alto inneggia: basta ipocrisie! Mettiamo le mascherine a sti bambini!
Magari si trattasse “solo” di ipocrisie…temo si tratti della solita vecchia storia che appartiene all’umanità, alla biologia del mentale: tutto ciò che è fragile viene predato e distrutto da sciacalli onnipotenti.
E, di certo, il bambino è fragile, e anche quell’affetto che porta il genitore a fare scelte per lui senza condizionamenti e senza timori reverenziali.
Greggi di bambini senza volto saranno l’oggetto sacrificale, al primo starnuto subiranno la diagnosi.
Mentre noi adulti emettiamo la sentenza, e possiamo anche emettere flatulenze impavidi perché sembra che le epidemie non si trasmettono con il culo, ma con la bocca.
Ma ne siamo certi?