Distorsioni spazio-temporali nella personalità tossicodipendente

 

DISTORSIONI SPAZIO-TEMPORALI NELLA PERSONALITA’ TOSSICODIPENDENTE. EVOLUZIONI TRANSFERALI NEL SETTING ANALITICO

 

Al fine di individuare un approccio ad personam, ciò cui ambisce la moderna teoria psicodinamica della prassi clinica psicoterapeutica, si ritiene necessario ed ineludibile il prendere in considerazione  la multifattorialità che contraddistingue la struttura personologica  del tossicodipendente, per cui la terapia psicodinamica si orienta, tramite i contributi scientifici della teoria del Caos e l’apporto ormai imprescindibile delle neuroscienze, a delineare un modello eziologico multifattoriale che si basi su un concetto di causalità intesa in senso circolare e dialettico, nella reciprocità interattiva e ricorsiva tra aspetti genetici, eventi psichici, problemi di tipo socio-economico, modulazioni relazionali, processi neurofisiologici e biochimici.

Viene prospettata, cioè, la necessità di fronteggiare il fenomeno della droga con un approccio “globale”, mostrando così i limiti di una concezione riduzionista, che può risultare sterile sul piano epistemologico e carente sul piano clinico.

Partiamo dal presupposto che le sostanze eccitanti possono diventare anestetici perchè agiscono con il criterio del paradosso, se gli eccitanti stimolano ad esempio il firing dopaminergico, i neurolettici lo inibiscono, proponendo meccanismi antitetici.

Quello che definiamo paradosso descrive un ambito metapsicologico in cui la mente confonde la percezione del dolore e del piacere, provocando conseguenze a spirale in grado di imporre una morte psichica centripeta ed inesorabile.

Gli stessi studiosi della comunicazione umana si avvalgono di questa definizione per descrivere formule verbali e non verbali caratterizzate da una sintattica logica ed una semantica pre-logica, che persegue dunque i dettami incoerenti e primari dell’inconscio umano.

La psicodinamica intuisce il ruolo del paradosso all’interno del funzionamento “a pompa” dell’impianto psicologico, ciò che potremmo definire un procedimento di intensione ed estensione con valore centrifugo ed amplificativo; da Freud con l’ipotesi di un processo primario e secondario, alla Klein con la teorizzazione clinica del dualismo schizoparanoide/depressivo, sino a Bion con l’esplicazione scrupolosa dei processi psichici appartenenti all’area psicotica e a quella non psicotica, riteniamo che la percezione del dualismo psichico nel dispiegarsi delle sue modulazioni piacevoli e dolorose rappresenti l’iter perseguibile per tracciare un percorso che abbia le caratteristiche terapeutiche adeguate; soprattutto laddove la sostanza chimica stupefacente convogli e annulli tutte le sfaccettature binarie che danno vita alla mente umana.

Naturalmente non possiamo non prendere in considerazione la grande diade che oscura anche quella pragmatica psicoanalitica conscio/inconscio: il codice vita/morte, inteso come stato di annichilimento interiore che proietta l’essere nelle sue traiettorie esistenziali, laddove la droga annulla questa vicenda.

Dal punto di vista antropologico ammettiamo che la sostanza eccitante annulla il divenire e piega l’evoluzione spazio-temporale al suo processo intrinseco: in sintesi l’estrema raffigurazione grottesca dell’onnipotenza umana che obnubila in un sol colpo il potere all’opposto evolutivo dell’inconscio nel suo dispiegarsi in sintonia quantica con la coscienza.

L’essere umano  rappresenta modulazioni mentali nella  commistione generica ma basilare di affetto e istinto, potremmo generalizzare ulteriormente: pulsione di vita e pulsione di morte. Ciò rientra nell’ottica della maturazione cerebrale in seno al suo diffondersi nella realtà interna ed esterna. Una valutazione clinica particolarmente attenta ipotizza che l’istinto possieda vari significati processuali: metabolizzazione veloce del dolore/frustrazione, prima comunicazione con la realtà, slancio esplorativo, sfida per la formattazione dell’autonomia, atto trasgressivo per l’apprendimento e per la creatività. Trattasi di procedimenti psicologici che giustificano l’esistenza del paradosso biologico, e determinano una spiegazione del complicato rapporto tra la patologia e la normalità, nel senso  che l’una fabbisogna dell’altra in un rapporto di mutuo scambio motivazionale: laddove prende il sopravvento il metabolismo paradossale con le sue citate peculiarità avremo esclusivamente onnipotenza in tutte le sue caratteristiche, sino al delirio e alla tossicodipendenza, ed un ingolfamento coatto della memoria rimossa, mentre laddove si ghiaccia la logica binaria reale avremo strutture autistiche che non entrano in comunicazione col reale, laddove tale ponte iniziatico comunicativo è rappresentato proprio ed esclusivamente dal messaggio psicotico istintivo paradossale (ancora un volta è il livello di soglia che determina il passaggio dall’esplorazione alla predazione).

Evidenziamo il duplice dilemma conflittuale che coinvolge l’essere umano: da un lato il conflitto tra l’egocentrismo rappresentato dalla ricerca dello stato di soddisfacimento, e la necessità dell’altro per un soddisfacimento reale (l’essere umano è un essere autocentrato ma politico, ovvero fabbisogna di una socialità); dall’altro lato lo stato di soddisfacimento anela allo stadio denominato affettivo e di rapporto con l’altro da sé, ma per raggiungere questo stato fabbisogna dello strumento paradossale dominante nei confronti della logica del reale (come dire che la follia è il tributo da pagare alla normalità in un rapporto tragicamente interconnesso); questo duplice conflitto rappresenta l’iter dello stato motivazionale umano, a nostro parere il motore dell’evoluzione in tutte le sue caratteristiche.

Pensiamo dunque al fenomeno della trasgressione inteso come rottura dello schema pre-costituito, è l’unica maniera  per quanto paradossale per permettere il procedimento indispensabile per l’apprendimento che denominiamo discriminazione; discriminazione intesa come riconoscimento del dato di realtà con la sua logica binaria con inquinamento minimo della nostra elaborazione percettiva.

Ma se consideriamo i livelli di soglia evolutivi, ci accorgiamo che nella personalità tossicodipendente qualcosa si è bloccato, il tempo si è fermato, lo spazio è pre-costituito ed immodificabile: è la trappola dell’onnipotenza mascherata da vittimismo.

Si tratta di un livello di soglia oltre il quale il processo paradossale e istintuale diviene un modello operativo interno rigido, atto a confermarsi: l’essere umano si perde drammaticamente nella gabbia dorata  di un eterno presente cortocircuitantesi in cui l’unica via d’uscita è rappresentata dal sintomo psicosomatico e dal sogno.

Ma il sintomo, si sa, è dolore, e il sogno diviene presto incubo. Alla luce del passaggio evolutivo: piacere-dolore-piacere in cui è il processo del dolore e della tolleranza dello stesso che produce la crescita fisiologica, nel tossicodipendente questo passaggio è oscurato dalla sostanza, la quale rimpiazza ed ingloba la sofferenza in tutte le sue caratteristiche, da quelle automatiche (come la depressione sintomatica) a quelle maggiormente coscienti (tolleranza della frustrazione o fase depressiva kleiniana). La distorsione percettiva diventa il modello utilizzato, e l’impianto psicologico si iberna in una teoria esistenziale sbilanciata e terribile.

L’altro da sé è rappresentabile univocamente dall’immagine del seno persecutorio che da beffe, analista incluso; il quale verrà raggirato perché l’analisi è la realtà che procura dolore.

Il repertorio di attaccamento affettivo si tramuta in un progetto conflittuale e ricattatorio.

Ma se è vero che nella stessa distruttività del tossicodipendente si cela il suo slancio vitale, nel transfert questo punto non può essere omesso: con quella parte l’analista cercherà una strategia comunicativa adeguata per concretizzare una alleanza intesa come distanza flessibile, affinché il terapeuta psicodinamico sia in grado di amalgamarsi/colludere con la personalità manipolatrice del tossicodipendente sorprendendolo poi con reazioni inaspettate; per poi colludere nuovamente. La distanza relazionale comincia a differenziarsi in virtù dei contributi dei soggetti in azione, un’interazione in cui lo stesso assetto cognitivo si amalgama con il contributo emotivo all’interno di un sapiente uso del processo della differenziazione.

La manipolazione del tossicodipendente diventa vitale all’interno di un campo esperienziale che si differenzia permettendo la crescita di un rinnovato senso del noi.

Il segreto consiste nel rispettare il tempo inteso come sistema esistenziale in cui esiste un prima e un dopo, insomma una teoria crono-logica in cui il puntello inteso come  punto esistenziale rappresenta il confine permeabile ma circoscritto tra un prima e un dopo.

Ciò richiama la nostra attenzione clinica al concetto del fare esperienza rappresentato dalla capacità di metabolizzazione della frustrazione; la costanza analitica produrrà il segnale che il procedimento sta avvenendo, e sarà l’emblema dell’avvenuta integrazione tra il fuori e il dentro, sarà il segnale dell’avvenuta ripresa della presenza con un prima e un  con un dopo, sarà l’espressione dell’accrescimento culturale ed esperienziale dell’individuo.

Il fare esperienza rappresenterà a questo punto una funzione indispensabile ad aumentare il potere discriminativo e di conseguenza trasformativo dell’es­sere umano, producendo il godimento della conoscenza e del legame affettivo.

La quotidianità del tossicodipendente si svolge secondo uno schema semplice esplicando la sua condizione di coazione a ripetere; vi troviamo un preciso obiettivo da raggiungere: l’assunzione della droga, che rappresenta il soddisfacimento/annullamento (perché ottenuto attraverso lo spegnimento del desiderio e non attraverso la sua realizzazione) di tutti i bisogni. Questo passaggio trova conferma nella visualizzazione concreta del risultato raggiunto in cui ogni cosa viene inesorabilmente spazzata via, ogni oggetto che abbia le caratteristiche di alterità viene inglobato.

Poi progressivamente il piacere tende a dissiparsi o, meglio, risulta più evidente la sua natura virtuale e temporanea; il processo si fa sempre più rapido, verso la ricomparsa dei bisogni.  Insorge allora la sensazione di assenza che, sviluppandosi in un contesto di complessa perturbazione psichica, propone una ricca sintomatologia somatica.

La mancanza si riempie di dolore fisico; lottando contro l’oblio del piacere eroinico attraverso il dolore fisico, il corpo sembra voler garantire un estremo legame con ciò che si è perduto; così l’assenza di sintomi sembra essere la vera sventura contro la quale il corpo lotta.

È di frequente osservazione la ricomparsa di sintomi carenziali in soggetti che hanno da diversi giorni superato la crisi d’astinenza, quando vengono posti in particolari situazioni emotive.

A questo stadio il paziente disintossicato rivela questa specifica incapacità di prendersi cura di sé, giacché da molto tempo ha rinunciato a conoscere i propri sentimenti e i propri bisogni; su tale rinuncia si basa l’impossibilità di elaborare strategie adeguate al soddisfacimento o, per essere più precisi, più che di una rinuncia è sempre necessario parlare in termini psicodinamici di uno spostamento, laddove lo stato di soddisfacimento c’è ma fabbisogna di un’acce­lerazione delle componenti emotive.

Si tratta di un clima di minimizzazione “post-atomico” che riflette l’an­goscia esistenziale e la cultura del genocidio, in cui compaiono rudimentali progetti di risoluzione del problema inteso come impasse esistenziale che riconosce nel dolore il male e nel piacere il bene, e viceversa; purtroppo la cellula non conosce questi parametri dicotomici tipici della società psicotica, a ricordarci quanto il processo tossicomane riguardi l’umanità intera e il suo rapporto con l’altro: l’altro-elettrone, l’altro-essere umano, l’altro-idea, l’altro-sistema, l’altro-universo.

Non ci si può sottrarre ulteriormente a questo dialogo che fa parte della creazione e nella distruzione non trova compimento, nemmeno tramite artifizi psicoterapeutici.

Il terapeuta psicodinamico con un’adeguata formazione integrata e personologica entra dunque in collusione calibrata col paziente tossicodipendente, senza temere le sue richieste a più livelli, da quello implicito a quello esplicito, per poi uscire dalla collusione comunicativa in maniera terapeutica al fine di restituire le coordinate di un prototipo relazionale sano e malleabile, finalizzato alla formattazione di un modello operativo interno in grado di gestire le successive crisi e l’esplorazione consapevole; il clinico stolto che cederà alla lusinga inconscia della collusione senza avere la capacità di riconoscere, sarà solo cibo-alimento di un modello di condizionamento temibile nelle sue caratteristiche cortocircuitantesi.

Noi tentiamo la difficoltosa strada dell’interiorizzazione intesa come assemblaggio ed integrazione di dati, ovvero sepoltura di eventi esterni per l’arricchimento interiore; noi raffiniamo lo strumento del cordoglio affinché qualcosa che è andato perduto abbia il significato di esperienza e di evoluzione; noi cerchiamo di mitigare l’onnipotenza che tanto si fa sentire in momenti di acuta disperazione e nel tempo assume forme sofisticate ed impenetrabili.

Il nostro onere è di essere parte integrante di un legame esclusivo, così che il tempo rifluisca linearmente e lo spazio riconosca diverse distanze; ma stiamo attenti a non entrare nell’impasse clinico per cui noi rappresentiamo il salvatore e lui il salvato; piuttosto teniamo sempre a mente che entrare nei circuiti spazio-temporali distorti ed accelerati all’ennesima potenza dalla sostanza stupefacente, per poi uscirne fuori solo grazie all’aiuto dell’analizzando, rappresenta un’espe­rienza che arricchisce la coppia analitica e in ultima sintesi lo stesso analista: un iter di arrotondamento delle personalità dei componenti.

Il passaggio alla fase depressiva contempla l’emergere dell’esistenza dell’al­tro in virtù del riconoscimento delle proprie caratteristiche di personalità, ovvero si innesca una relazione di scambio atta a confermare l’esistenza dei singoli impianti psicologici; insomma comincia la fase del compromesso col reale, il quale mostra un linguaggio logico che, pur opposto all’onnipotenza umana, in essa risuona e inspiegabilmente combacia, come quando due opposti si fondano e creano una soluzione inaspettata, insomma una creazione.

La fagocitosi della personalità tossicodipendente non va né cancellata, né giudicata, né sabotata; ma va sentita, compresa ed utilizzata, nell’ottica della condivisione della co-costruzione del legame a tutti i livelli.

Questa considerazione basta e avanza per smussare in noi (professionisti della materia) quel fastidioso senso di onnipotenza che ci assorbe e ci fa implodere in un inutile processo di furor sanandi; laddove basterebbe prendersi cura di un essere umano per sbrogliare la matassa e liberarci di tanti impicci psicologici.

 

 

GLOSSARIO:

AREA PSICOTICA

Nel tracciare le origini della “parte psicotica della personalità” Bion (1957, 1967) rimanda all’esperienza che il neonato fa delle “mancanze” materne. In particolare, sottolinea l’inabilità della madre nell’assicurare un valido contenitore per le angosce impensabili, di distruzione psichica, che il neonato può provare. Il modello che Bion propone considera fondamentali per la costituzione di un adeguato contenitore, e quindi di un oggetto contenuto: a) la capacità della madre di ricevere l’angoscia del bambino, e con quest’angoscia – tramite identificazione proiettiva – parti non volute di sé dei sensi, e anche dell’apparato mentale, che sono avvertiti come una minaccia per l’esistenza del bambino; b) l’abilità materna a trasformare i dati sensoriali grezzi (elementi beta), attraverso la sua funzione alfa, nella sostanza di cui sono fatti i sogni, i pensieri, i ricordi; c) la competenza materna nel restituirli, con una modalità non impositiva, al bambino sufficientemente disintossicati perchè il sistema psichico infantile – relativamente immaturo – sia in grado di tollerarli. Possiamo, per analogia, considerare l’adeguato contenitore un apparato per pensare i pensieri funzionante; e gli oggetti contenuti i pensieri, o meglio gli elementi di cui sono fatti i pensieri.

 

ARROTONDAMENTO

Processo tramite il quale l’uomo realizza il Sé, trovando un equilibrio tra tutti gli elementi della sua personalità; è ciò che Jung chiama arrotondamento della personalità o processo di individuazione.
Con il termine arrotondamento, Jung intende il cammino verso la realizzazione del Sé. Arrotondarsi, quindi, significa diventare un essere singolo, ovvero attuare pienamente il proprio Sé.
Il percorso per l’arrotondamento è per lo più inconscio – a meno che non si ricorra alla psicoterapia – e corrisponde alla messa in atto di tutte le qualità che un individuo può realizzare spontaneamente.
La nascita del Sé corrisponde alla scoperta di quel punto centrale che riesce ad equilibrare gli opposti psichici; si pone come entità autonoma rispetto all’Io ed offre a quest’ultimo una visione del mondo meno limitata, amplificando la coscienza in direzione della sua universalità.

 

COAZIONE A RIPETERE

a)     Al livello della psicopatologia concreta, processo incoercibile e di origine inconscia, con cui il soggetto si pone attivamente in situazioni penose, ripetendo così vecchie  esperienze senza ricordarsi del prototipo e con invece l’impressione molto viva che si tratti di qualcosa che è pienamente motivato nella situazione attuale.

b)    Nell’elaborazione teorica data da Freud, la coazione a ripetere è considerata come un fattore autonomo, irriducibile in ultima analisi a una dinamica conflittuale in cui intervenga soltanto l’azione congiunta del principio di piacere e del principio di realtà. Essa è attribuita fondamentalmente al carattere più generale delle pulsioni: il loro carattere conservatore.

 

COLLUSIONE

Simbolizzazione affettiva del contesto, da parte di chi a quel contesto partecipa. La collusione, quindi, è un processo di socializzazione delle emozioni, che proviene dalla condivisione emozionale di situazioni contestuali. La collusione, in altri termini, è il tramite emozionale che fonda ed organizza la costruzione delle relazioni sociali, grazie alle emozioni condivise. Colludere significa condividere, emozionalmente, le stesse simbolizzazioni affettive, o simbolizzazioni complementari, entro un contesto partecipato e vissuto in comune. La collusione, se non è pensata, si trasforma nell’agito emozionale: comportamento agito, che si può intendere quale evacuazione delle emozioni, entro la relazione contestuale.

 

CORDOGLIO

Afflizione, dolore profondo per lo più collettivo, ed elaborazione dello stesso, in seguito ad una sciagura, ad una perdita.

FAGOCITOSI

Processo di inglobamento ed assimilazione.

 

FIRING DOPAMINERGICO

Processo di rilascio delle molecole del neurotrasmettitore monoaminico dopamina.

Quando un neurone è a riposo, le vescicole sinaptiche che contengono neurotrasmettitori a basso peso molecolare si aggregano in vicinanza della membrana presinaptica, una struttura particolarmente ricca di canali per il calcio. L’arrivo del potenziale d’azione ai bottoni terminali apre i canali voltaggio-dipendente per il calcio, e consente agli ioni del calcio di entrare nei bottoni. L’afflusso intracellulare di calcio determina la fusione delle vescicole con la membrana presinaptica; nel punto di fusione la membrana si apre e il neurotrasmettitore è liberato nella fessura sinaptica.

 

INTERIORIZZAZIONE

a)     Termine usato spesso come sinonimo di introiezione.

b)    In senso più specifico, processo con cui delle relazioni intersoggettive sono trasformate in relazioni intrasoggettive (interiorizzazione di un conflitto, di un divieto, ecc.).

 

MODELLO EZIOLOGICO MULTIFATTORIALE

Il termine multifattoriale si presta a diverse interpretazioni per cui ne va precisata l’accezione nel contesto. L’eziologia definita come multifattoriale esprime in maniera idonea la presenza di una molteplicità di fattori e introduce il concetto di complessità come insieme di elementi in grado di condizionare diversamente l’espressione di un comportamento. Il modello eziologico multifattoriale presenta dunque, nella sua corretta accezione, la presenza di cause/concause costituite da molti fattori alcuni dei quali ben definiti e conosciuti, altri solamente ipotizzati (Allport, 1937).

 

MODELLO OPERATIVO INTERNO

Rappresentazioni mentali, costruite dall’individuo come strutture mentali che contengono le diverse configurazioni (spaziale, temporale, causale) dei fenomeni del mondo e che hanno la funzione di veicolare la percezione e l’interpretazione degli eventi, consentendogli di fare previsioni e crearsi aspettative sugli accadimenti della propria vita relazionale.

Sono caratterizzati dalla qualità del rapporto che è stato instaurato dal bambino con la figura di attaccamento e sono in grado di condizionare i comportamenti di attaccamento del piccolo.

 

PERSONALITÀ PSICOTICA

Nell’impostazione psicodinamica, psicoanalitica e fenomenologica, l’esperienza psicotica non si identifica con la valutazione statistica di elementi di normalità o patologia, ma corrisponde a una (personalità psicotica secondo Bion) modalità caratteristica di funzionamento mentale attivabile in situazioni diverse in ogni individuo; essa conserva contenuti e manifestazioni comuni all’esperienza quotidiana delle relazioni interpersonali che variano solo quantitativamente.

 

POSIZIONE DEPRESSIVA

Secondo Melanie Klein, modalità delle relazioni oggettuali susseguente alla posizione schizo-paranoide, essa si costituisce verso il quarto mese ed è gradualmente superata nel corso del primo anno, sebbene possa ripresentarsi anche nel corso dell’infanzia e venire riattivata nell’adulto specie nel lutto e negli stati depressivi.

Essa è caratterizzata dai tratti seguenti: il bambino è ormai capace di seguire la madre come oggetto totale; la scissione tra oggetto “buono” e oggetto “cattivo” si attenua, mentre le pulsioni libidiche e ostili tendono a riferirsi allo stesso oggetto; l’angoscia della depressione è rivolta verso il pericolo fantasmatico di distruggere e di perdere la madre a causa del sadismo del soggetto; questa angoscia è combattuta con diversi modi difensivi (difese maniacali o difese più adeguate: ripartizione, inibizione dell’aggressività), ed è superata quando l’oggetto amato è introiettato in modo stabile e rassicurante.

 

POSIZIONE SCHIZOPARANOIDE

Secondo Melanie Klein, modalità delle relazioni oggettuali che è caratteristica dei primi quattro mesi di vita, ma che si può ripresentare successivamente nel corso dell’infanzia e nell’adulto, specie negli stati paranoico o schizofrenico.

Essa è caratterizzata dai tratti seguenti: le pulsioni aggressive coesistono immediatamente con le pulsioni libidiche e sono particolarmente forti; l’oggetto è parziale (principalmente il seno materno) e scisso in due, l’oggetto “buono” e l’oggetto “cattivo”; i processi psichici prevalenti sono l’introiezione e la proiezione; l’angoscia, intensa, è di natura persecutoria (distruzione da parte dell’oggetto “cattivo”).

 

PROCESSO PRIMARIO, PROCESSO SECONDARIO

I due modi processuali dell’apparato psichico quali sono stati definiti da Freud. Si possono distinguere radicalmente:

a) dal punto di vista topico: il processo primario caratterizza il sistema inconscio, il processo secondario caratterizza il sistema preconscio-conscio;

b) dal punto di vista economico-dinamico: nel caso del processo primario, l’energia psichica fluisce liberamente, passando senza ostacoli da una rappresentazione all’altra secondo i meccanismi di spostamento e di condensazione; essa tende a reinvestire pienamente le rappresentazioni inerenti le esperienze di soddisfacimento costituzionale del desiderio (allucinazione primitiva). Nel caso del processo secondario, l’energia viene “legata” prima di scorrere in modo controllato; le rappresentazioni sono investite in modo più stabile, il soddisfacimento viene differito, permettendo così l’esecuzione di esperimenti mentali che saggiano le diverse vie possibile di soddisfacimento.

L’opposizione fra processo primario e processo secondario corrisponde a quella tra principio di piacere e principio di realtà.

PULSIONI DI MORTE

Nel quadro dell’ultima teoria freudiana delle pulsioni, designano una categoria fondamentale delle pulsioni che si oppongono alle pulsioni di vita e tendono alla riduzione completa delle tensioni, cioè a ricondurre l’essere vivente allo stato inorganico.

Rivolte dapprima verso l’interno e tendenti all’autodistruzione, le pulsioni di morte verrebbero successivamente dirette verso l’esterno, manifestandosi allora sotto forma di pulsione di aggressione o di distruzione.

 

PULSIONI DI VITA

Grande categoria di pulsioni che Freud contrappone, nella sua ultima teoria, alle pulsioni di morte.

Esse tendono a instaurare unità sempre più grandi e a mantenere la coesione.

Le pulsioni di vita, che sono designate anche col termine Eros, ricoprono non solo le pulsioni sessuali propriamente dette, ma anche le pulsioni di autoconservazione.

RIMOZIONE

a)     Nel senso proprio: operazione con cui il soggetto cerca di respingere o di mantenere nell’inconscio rappresentazioni (pensieri, immagini, ricordi) legate ad una pulsione. La rimozione si attua nei casi in cui il soddisfacimento di una pulsione – atta di per sé a procurare piacere – rischierebbe di provocare del dispiacere rispetto ad altre esigenze.

La rimozione è particolarmente manifesta nell’isteria, ma svolge un ruolo importante anche nelle altre affezioni mentali, come pure nella psicologia normale. Essa può essere considerata come un processo psichico universale in quanto sarebbe all’origine della costituzione dell’inconscio come campo separato dal resto dello psichismo.

b)    In senso più vago: il termine rimozione è talora assunto da Freud in un’accezione che lo avvicina a quello di “difesa”: da un lato in quanto l’operazione della rimozione intesa nel senso A si incontra almeno come una fase in numerosi processi difensivi complessi (la parte è allora presa per il tutto), dall’altro in quanto il modello teorico della rimozione è utilizzato da Freud come prototipo di altre operazioni difensive.

 

TEORIA  DEL CAOS 

Un sistema dinamico si dice caotico se a variazioni infinitesime delle condizioni al contorno (o, genericamente, degli ingressi) corrispondono variazioni infinite in uscita. Come esempio banale: il fumo di più sigarette accese in condizioni macroscopicamente molto simili (pressione, temperatura, correnti d’aria) segue traiettorie di volta in volta molto differenti.

Dal punto di vista dell’orbita del sistema nello spazio delle fasi, un sistema caotico presenta una dinamica caratterizzata da un attrattore strano. Una caratteristica peculiare di un sistema caotico, sebbene deterministico, è l’apparente impredicibilità delle traiettorie del sistema, dovuta alla forte sensibilità rispetto alle condizioni iniziali: un piccolo errore nella conoscenza dello stato del sistema in un certo istante può provocare un errore anche grande nelle previsioni a medio e lungo termine.

Un sistema caotico autonomo è necessariamente non lineare.

 

AUTOBIOGRAFIA

Alessandro Crescentini, già autore di pubblicazioni a carattere scientifico  e di un volume sulla riabilitazione psichiatrica, svolge attività privata in qualità di psicoterapeuta ad orientamento psicodinamico P.E.A. ed è consulente psiconcologo per la Fondazione Associazione Nazionale Tumori. Si occupa inoltre di ricerca nell’ambito della metodologia clinica psicodinamica nell’ottica dell’integrazione delle competenze.

Studio Pesaro:
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