Il “buon” terapista
Ho notato che in questo periodo traballante (tra la necessità di lasciare alle spalle una serie di eventi catastrofici e la paura orientativa di ritrovarsi immersi in un’altra situazione emergenziale), si sprecano le opinioni cliniche, i pre-giudizi clinici e lo sciacallaggio terapeutico.
Si sfornano diagnosi per accaparrarsi a buon mercato l’avventore stolto, il cosiddetto paziente.
Sono arrivati nel mio studio giovani ragazzi imbottiti di sostanze stimolanti (vedi antidepressivi) con tanto di diagnosi disparate: disturbo post-traumatico, depressione, ciclotimie, psicosi.
Nessuno si è preso del tempo per disturbarsi a capire cosa stesse accadendo nella mente di questi giovani.
Eppure è evidente: uno stressor imponente ha saturato un livello di precarietà già esistente, producendo risposte automatiche e paradossali, difensive e distruttive. In questa nota condizione clinica (il cosiddetto piacere paradossale, dagli studi del famoso neuroscienziato Gianluca Mattioli, il quale ci offre un metodo chiaro e processuale) il cervello usa strategie di controllo interno, i sintomi sine materia, che bloccano il cortocircuito e contengono dalle evasioni massicce dal reale.
A questo punto il medico compiacente e/o impreparato “offre” sostanze miracolistiche che puntano all’analgesia del sintomo e al suo superamento in termini di ulteriore evasione dalla realtà (interna e, di conseguenza, esterna).
Taluni psichiatri offrono il pacchetto intero, farmaco più terapia allo stesso prezzo, ben consapevoli che sarebbe utile distinguere le due aree di intervento clinico; nemmeno alla Conad ho notato tante offerte….
Altri sgomitano per sfamarsi del paziente quale preda ambita…
Altri ancora fanno regali e promettono risoluzioni, talvolta gratuitamente (cosa non si fa per non rimanere soli…..).
Insomma il solito circo becero e malsano che fa leva sulla precarietà del paziente: il quale richiede un setting di elaborazione e di confronto serrato sul significato del sintomo e sul meccanismo che, a partire dalla quarantena, ha prodotto il travaso fino all’estremo dell’evasione psicotica; insomma una psicoterapia vera, non basata sui bacetti velenosi.
La paura ci orienta e ci guida, e non ci sono scorciatoie: si lavora “dentro” di sé per formarsi anche e soprattutto in un momento così delicato.
Ma la scorciatoia, come la diagnosi, è allettante, non richiede impegno e alimenta fanatismo. E tanti medici e psicoterapeuti collaborano acremente per trovare nuove scorciatoie, dall’alto (basso) di un’ignoranza malevola.
Come riconoscere un buon terapista? Semplice: non fa diagnosi, non fa regali, si fa pagare, lavora con metodo tutte le settimane e non è compiacente.
Piuttosto si confronta ogni seduta per un’analisi della realtà.