Il dopo
Molti (pazienti e non) mi chiedono (è una delle domande più frequenti) come sarà il dopo, da un punto di vista psichico/sociale, finita la quarantena.
Beninteso che non ho velleità profetiche, però un po’ di esperienza clinica e di buonsenso mi conducono verso talune semplici deduzioni.
Noto che l’espressione che va per la maggiore è quella tipica delle catarsi: dopo saremo tutti più buoni, più attenti alle leggi del reale, più propensi al legame affettivo. In effetti se ci pensiamo ciclicamente l’essere umano incontra eventi che in teoria dovrebbero placarlo e redimerlo, l’acuzie è rappresentata dal fenomeno della guerra, mentre questa volta il fenomeno contenitivo è una pandemia. Eppure l’esperienza storica insegna che mai è avvenuta redenzione. Qualche buon proposito, qualche slancio reattivo, poi tutto viene risucchiato dall’esigenza del potere umano.
Ergo: temo non ci sarà nessuna redenzione, nessuna catarsi, nessuna evoluzione.
Per il semplice motivo (biologico) che il passaggio a uno stato mentale più evoluto e differenziato richiede un lavoro rigoroso e duraturo.
Coloro che già vivono nel divenire del loro stato mentale, nell’analisi o esplorazione di sé, nel lavoro della formazione interiore oggi più che mai lavorano in tal senso, per resistere e ri-esistere in questo stato estremo emergenziale. Lo vedo nei pazienti che continuano intensamente nello svolgersi del loro lavoro analitico, nel personale e intimo studio della nevrosi al fine di affrontare la realtà facendone esperienza: queste persone dopo ne usciranno rinforzate.
Poi ci sono coloro che evadono, in tante maniere, dal confronto con l’esperienza emotiva; adesso, come prima; ne usciranno dopo sicuramente con una sensazione di equilibrio, ma statico e non esperienziale: probabilmente patiranno le conseguenti ed inevitabili sintomatologie psichiche quali indicatori di un’esperienza non vissuta.
Poi ci sono coloro che sono affascinati dalla tragedia, i redenti, quelli che si acquistano il patentino di una bontà regalata da farlocchi slanci di altruismo, che si percepiscono fautori di una sopravvivenza combattuta, insomma i fanatici che godono della sindrome di Stendhal: la tragedia acquista un sapore di bello. Sono psicotici da tempo ma senza diagnosi.
Infine, ovviamente, ci sono gli stupidi. Sono i più.
E ovviamente rimarranno stupidi, anche dopo.