Un virus disumano
Parlando in remoto con uno stimato medico del reparto infettivi di Pesaro, su vari argomenti clinici e sociali legati all’epidemia, un dato è emerso intensamente:
la considerazione di quanto questo virus sia disumano.
E non solo per la sua manifestazione clinica complessa e nuova, ma per l’effetto conseguente e necessario di distanziamento sociale/relazionale cui siamo sottoposti.
Questa è una condizione nuova ed estrema che ci catapulta nella formula primaria dell’essere umano: il legame.
Un virus che ci costringe all’allontanamento relazionale va a minare il caposaldo della natura primordiale umana, la concezione stessa e primaria dell’umanità, il legame appunto.
L’infante nasce carico di dolore e attraverso il contatto epidermico con la madre innesca il circuito dell’umanità, desatura il dolore e attiva il laborioso processo della coscienza identitaria e della formazione umana.
Il legame è il luogo del rispecchiamento, della creazione, della civilizzazione.
Il virus ci distanzia e vuole mortificare il pathos relazionale: ma non può riuscirci.
Percepiamo tutti l’esigenza di toccarci, di percepirci, di ricreare quel cordone affettivo che ci manca come l’ossigeno.
Sentiamo il batticuore della ripartenza e della ri-unione dopo aver patito la nostalgia della mancanza.
Il virus attacca il cuore dell’esistenza umana ma non può riuscirci perché il legame ha l’urgenza della vita stessa.
Ormai ognuno ha la consapevolezza evidente di questa responsabilità di cui spesso nemmeno siamo consapevoli: la responsabilità di proteggere il senso di noi nel legame.
Certo è un lavoro articolato e raffinato, ma per ora è sufficiente questa forte consapevolezza.
Un virus disumano.
Ci vorrebbe allontanare.
Ma l’abbiamo compreso tutti: è impossibile.